Saggio
Marotta e Cafiero
2016
14x21
312
La parola decrescita è urtante, dà fastidio. Ci ricorda che un’intera era è finita. Che la civilizzazione che l’ha caratterizzata è al collasso e che l’unica possibilità di immaginare un futuro vitale sta in un profondo cambiamento riflessivo. L’idea di decrescita contiene un richiamo ad elaborare questo lutto, a riconoscere la necessità di una radicale discontinuità, a rileggere quello che stiamo vivendo in termini più complessivi di un passaggio di civiltà.
Dentro le società ricche e sviluppate si sta facendo largo un movimento profondamente consapevole che la civiltà dell’accumulazione, del consumismo e della crescita si rivela oggi per quel che realmente è: una parentesi nella storia umana, un vicolo cieco evolutivo.
Tutto questo chiama in causa il nostro stile di vita, le nostre abitudini quotidiane, il nostro rapporto con altri paesi e culture, e un sempre più inevitabile ripensamento delle relazioni sociali fondamentali tra uomini e donne di differenti generazioni.
L’idea della ricerca di una qualità della vita differente fondata sulla frugalità, sul fare con meno, non è più il patrimonio di una nicchia ma sta pian piano attraversando l’intero corpo sociale e diventando un patrimonio diffuso.
Quando pensiamo al cambiamento pensiamo alla sostituzione di una struttura con un’altra, ma fatichiamo a vedere la propensione, la tensione, la modificazione che stira e deforma il mondo di cui facciamo parte. Dobbiamo invece vedere quello che sta emergendo di nuovo dentro il deperimento del vecchio. Attraverso nuove forme di autorganizzazione, di autoproduzione, di scambio e condivisione si riduce pian piano la dipendenza dal mercato e si va lentamente costituendo una forma di “sussistenza moderna”.
Il futuro non è ovvio. In verità stiamo partecipando ad un movimento di trasformazione più grande e più profondo, che ora possiamo solamente intuire e che infine ci cambierà tutti.
«L’utopia oggi non consiste affatto nel preconizzare il benessere attraverso la decrescita e il sovvertimento dell’attuale modo di vita; l’utopia consiste nel credere che la crescita della produzione sociale possa ancora condurre a un miglioramento del benessere, che essa sia materialmente possibile»
André Gorz
Marco Deriu (a cura di), Verso una civiltà della decrescita. Prospettive sulla transizione.
Con i contributi di:
Erik Assadourian, Veronika Bennholdt-Thomsen, Giovanni Bernardo, Bruna Bianchi, Mauro Bonaiuti, Alberto Castagnola, Yves Cochet, Simone D’Alessandro, Giacomo D’Alisa, Daniela Degan, Federico Demaria, Marco Deriu, Dalma Domeneghini, Arturo Escobar, Giorgos Kallis, Isabella Landi, Serge Latouche, Joan Martinez-Alier, Paola Melchiori, Mary Mellor, Helena Norberg-Hodge, Agnès Sinaï