di Paolo Piacentini
Nel corteo di Roma per il clima e contro le grandi opere inutili si è respirata una bella atmosfera. Una manifestazione molto diversa dalle tante che il sabato precedente hanno portato, nelle strade di molte città italiane (e del mondo), altre decine e decine di migliaia di giovani che manifestavano per la prima volta. I giovani del global strike for future erano scesi in piazza spinti da una generale, comunque importantissima, forte preoccupazione per il futuro del nostro pianeta cresciuta negli ultimi mesi a partire dai famosi scioperi per il clima lanciati dalla piccola Greta.
Un’onda, quella dei più giovani, che ci riempie di speranza e che dovremo imparare a conoscere, anche verificandola alla prova di un prossimo futuro. Sarà molto interessante capire quanto di quella grande sensibilità generica riuscirà a trasformarsi in un vero movimento globale capace di incidere anche sulla realtà politico-istituzionale che nelle scelte concrete continua ad essere dentro il vecchio modello di sviluppo.
Sarà il tempo a farcelo capire, ed è giusto che siano quei giovani a costruire in modo autonomo e creativo le forme di lotta per provare a cambiare davvero un modello che corre verso l’autodistruzione.
Nel lungo e colorato serpentone del 23 marzo c’erano le centinaia di battaglie territoriali, iniziando dai NO TAV, che negli ultimi decenni hanno saputo trasformare i NO in tantissimi Si; rappresentati da un’agire concreto individuale e collettivo nei singoli territori. Un’agire concreto che ha costruito saperi ormai consolidati e capaci di attivare processi di trasformazione politica, sociale ed economica contrapposti a quelli dominanti.
Quello che deve crescere ancora, nelle centinaia di battaglie e nelle migliaia di esperienze territoriali che hanno attivato progetti di trasformazione della società, è la capacità di fare rete per fare in modo che le battaglie e i progetti di trasformazione che hanno contributo a costruire saperi culturali (cultura intesa in senso antropologico) e scientifici, possano arrivare a diventare davvero elemento di contrapposizione e di alternativa alla cultura dominante. C’è bisogno di un salto di qualità che non elimini certo le differenze ma le tenga insieme dentro una visione globale per arrivare a costruire un agire politico, incisivo e autonomo rispetto alle strumentalizzazioni dei partiti che hanno cercato di usare i movimenti per fini elettorali.
Far crescere bene una rete tanto disseminata sul territorio italiano può voler dire, tra l’altro, anche proporsi come un punto di riferimento forte e concreto per i più giovani che sono scesi in piazza nei giorni precedenti. L’incontro di due narrazioni differenti, una con le radici piantate nei territori e l’altra sospinta da un vento globale meno radicato ma che può esprimere maggiore freschezza, può aiutare a trovare nuove energie per dare davvero la spallata di cui abbiamo un gran bisogno.