Le gigantesche mobilitazioni popolari a Quito, Santiago, Port-au-Prince, come pure quelle che sono comparse sulla scena europea e asiatica in questo autunno, evidenziano due cose: il potere che ha acquisito la mobilitazione popolare e le azioni collettive che sono in grado di scavalcare i governi, mettendo in discussione un modello che produce miseria in basso e lusso in alto. Il modello neoliberista ed estrattivista mostra evidenti segni di crisi. La stabilità dei governi che, al di là del colore politico, lo considerano il solo possibile è un’illusione che durerà sempre meno, ma nel caos in cui siamo immersi, non si vede per ora alcun orizzonte che possa davvero sostituire quel modello nefasto. Dobbiamo pensare in termini di decenni, più che di anni e, meno ancora, comprimere i cambiamenti in corso in base ai tempi elettorali. Il grande disordine in cui viviamo è comunque preferibile all’ordine del cimitero sociale di cui hanno bisogno i capitali per continuare ad accumulare, però non basta per modificare le cose. Il sistema è abituato a ricondurre la protesta sociale verso i suoi interessi, noi non possiamo che continuare a cercare le vie per trasformare la congiuntura in uno scenario favorevole ai popoli
aumento del prezzo del biglietto dell’autobus a Santiago del Cile era di 30 pesos (un dollaro equivale a 720 pesos), il costo è stato elevato da 800 a 830. È evidente che la reazione popolare non è stata causata da quell’aumento di 0,04 dollari a biglietto, ma è dovuta a cause molto profonde che hanno un nome: neoliberismo/estrattivismo/accumulazione per espropriazione. Il levantamiento a Quito è stato, formalmente, contro la fine dei sussidi ai combustibili, cosa che sempre rende più cari anche gli alimenti e fa salire (anche gli altri, ndt) prezzi. I popoli originari e i lavoratori hanno approfittato della breccia aperta dai trasportatori, i quali non hanno interessi popolari ma corporativi, per lanciarsi alla vena giugulare del modello.
In entrambi i casi, così come in molti altri, quel che sta accadendo è che i popoli sono stufi di una disuguaglianza che non cessa di crescere sotto i governi dei più diversi orientamenti. Perché la disuguaglianza è strutturale ed è legata strettamente al modello estrattivista, che si può riassumere in: polarizzazione sociale, povertà crescente e concentrazione del potere nelle élite finanziarie e nelle grandi imprese multinazionali.
Le gigantesche mobilitazioni popolari, a Quito, Santiago, Port-au-Prince, per non parlare di Barcellona, Hong Kong e Parigi, mostrano due cose che stanno guidando gli sviluppi della situazione: il potere che ha acquisito la mobilitazione popolare, capace di configurare profonde svolte politiche, e le azioni collettive che scavalcano i governi, mettendo in discussione un modello che produce miseria in basso e lusso in alto.
Per essere più precisi: il giugno del 2013, con 20 milioni di brasiliani nelle strade di 350 città, è stato un grido contro la disuguaglianza che ha seppellito la governabilità lulista al non aver compreso, il governo, la profondità del clamore. Il dicembre del 2017 è stato una chiave, ma nel senso contrario, giacché ha seppellito la governabilità conservatrice e classista di Macri.
Tuttavia, quelle valutazioni continuano a essere generali e non toccano il punto centrale. In questi giorni di ottobre, camminare per le strade di Quito, dove permane l’odore appiccicoso del fumo dei copertoni bruciati, ti forza a fare riflessioni. Gli scambi con persone dei più diversi movimenti, rurali e urbani, dissipano la nebbia della confusione sistemica in cui ci muoviamo.
La prima valutazione è che nel levantamiento hanno giocato un ruolo decisivo le donne e i giovani, che hanno scavalcato i dirigenti storici. Loro sono state protagoniste della maggior manifestazione nella storia dell’Ecuador, mettendo a disposizione le conoscenze della riproduzione e il prendersi cura della vita, sommando lucidità al fervore giovanile senza indebolire la combattività.
La seconda è la differenza tra un levantamiento organizzato e un’esplosione spontanea. La Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador (Conaie) è un’organizzazione di base comunitaria, molto ben strutturata e per questo ha avuto la capacità di espellere i provocatori dalle marce, compresi quelli incappucciati. Cosa che non si sta verificando in Cile, dove le manifestazioni sono sistematicamente infiltrate da agenti di polizia che alimentano il verificarsi di saccheggi che spingono la popolazione contro la protesta.
La terza valutazione è che il levantamiento è stato possibile, in primo luogo, grazie alle comunità rurali che hanno messo a disposizione ciò che era necessario per assicurare la permanenza di 12 giorni nella lontana Quito. Due forze si sono distinte: le comunità della sierra centrale, al nord e al sud della capitale, e i popoli amazzonici, il cui arrivo in qualità di guardia indigena è stato decisivo nelle giornate finali.
C’è stata però una presenza importante anche delle comunità urbane, nei quartieri poveri, dove i giovani hanno svolto un ruolo attivo e decisivo. Un settore delle classi medie urbane, inoltre, ha superato il razzismo fomentato dai media e ha sostenuto con acqua e cibo i popoli originari.
Infine, l’interpretazione di quel che sta accadendo. Tra le diverse analisi proposte, credo che la più profonda sia quella che esprimono Juan Civi e i suoi colleghi in un lavoro intitolato L’esaurimento di un modello di controllo sociale. Questo modello è nato all’inizio del primo decennio del secolo con Lucio Gutiérrez ed è stato poi sviluppato nel decennio Rafael Correa.
Il modello è in crisi, in effetti, ma non si intravvede nulla che lo possa sostituire nel breve periodo. Per questo il caos è in corso, durerà un tempo imprevedibile, fino a che matureranno le forze in grado di superarlo. Dobbiamo pensare in termini di decenni, più che di anni e, meno ancora, comprimere i cambiamenti in corso in base ai tempi elettorali. Non possiamo neanche pensare che ciò che verrà debba essere necessariamente migliore di quello che finisce.
Un grande disordine, come segnalava Mao Zedong, può essere qualcosa di positivo. Un grande ordine è il cimitero sociale di cui hanno bisogno i capitali per continuare ad accumulare. Però non basta il disordine per modificare le cose. Il sistema fa conto sulla protesta sociale per ricondurla verso i suoi interessi, approfittando della confusione che può essergli funzionale se non troviamo le vie per trasformare la congiuntura in uno scenario favorevole ai popoli.
Fonte: Comune-Info