Le “Norme in materia di domini collettivi” sono Legge della Repubblica
La storica approvazione è giunta il 26 ottobre, all’unanimità
Il riconoscimento pieno delle funzioni economica, sociale e ambientale della Proprietà collettiva, atteso per quasi un secolo da migliaia di Comunità rurali e alpine d’Italia, è finalmente giunto.
Il 26 ottobre, con il voto unanime della Camera dei Deputati (294 voti favorevoli, 0 voti contrari e 3 astenuti), si è concluso l’iter della Legge “Norme in materia di domini collettivi”, già approvata dal Senato il 31 maggio.
D’ora innanzi, nessuno potrà più considerare i Beni che le Comunità locali continuano a godere collettivamente, in forma indivisa e per diritto consuetudinario, un relitto del passato da “privatizzare” o “nazionalizzare”, attraverso le svariate forme di «liquidazione» architettate dalla Legge 1766 del 1927 che, non a caso, l’attuale presidente della Corte costituzionale, Paolo Grossi, continua a definire «auschwitziana».
L’articolo 1 della nuova norma, firmata dai senatori Giorgio Pagliari (Emilia-Romagna), Bruno Astorre (Lazio), Nerina Dirindin (Piemonte) e Francesco Palermo (Bolzano), dichiara solennemente che «La Repubblica tutela e valorizza i beni di collettivo godimento, in quanto: a) elementi fondamentali per la vita e lo sviluppo delle collettività locali; b) strumenti primari per assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale; c) componenti stabili del sistema ambientale; d) basi territoriali di istituzioni storiche di salvaguardia del patrimonio culturale e naturale; e) strutture eco-paesistiche del paesaggio agro-silvo-pastorale nazionale; f) fonte di risorse rinnovabili da valorizzare ed utilizzare a beneficio delle collettività locali degli aventi diritto».
Il riconoscimento diviene ancor più solenne, in virtù del suo ancoraggio costituzionale. I diritti dei cittadini «di uso e di gestione dei beni di collettivo godimento», in base alla nuova legge, non vanno riconosciuti soltanto perché «preesistenti allo Stato italiano», ma soprattutto perché ciò viene richiesto dalla Costituzione, in «attuazione degli articoli 2, 9, 42, secondo comma, e 43».
Le “Norme in materia di domini collettivi”, come è stato più volte ripetuto durante i lavori parlamentari e nel corso della discussione finale in aula, durante la quale vi è stata una piena assunzione di responsabilità da parte di tutte le forze politiche nazionali, si prefiggono la valorizzazione di un patrimonio agro-silvo-pastorale immenso.
Il pur incompleto Censimento dell’Agricoltura, portato a termine nel 2010 dall’Istat, ha evidenziato che quasi il 10% della Superficie agricola italiana – quasi 2 milioni di ettari su 17 – appartiene alle Comunità titolari di Assetti fondiari collettivi, come hanno sottolineato sia il deputato friulano Giorgio Zanin che si è adoperato senza risparmio per il traguardo del 26 ottobre, sia la Consulta nazionale della Proprietà collettiva.
«Circa il 10% della superficie agricola utile del nostro Paese – ha dichiarato Zanin nell’aula di Montecitorio – costituisce un valore enorme, per il passato e per il futuro, che da solo basta a rendere ragione dell’importanza della legge». Ma, secondo il parlamentare Pd di San Vito al Tagliamento, i passi in avanti decisivi riguardano anche «il riconoscimento della centralità della Comunità come “soggetto neo-istituzionale”» e della funzione imprenditoriale degli Enti gestori delle terre di collettivo godimento quale motore di sviluppo locale e la promozione di nuovi modelli economici, orientati alla gestione sostenibile e solidale delle risorse naturali, con ricadute sulla «conservazione dei caratteri identitari dei territori» e per la valorizzazione degli ambienti naturali antropizzati, in un’ottica di protezione dell’ambiente e del paesaggio.
«Il conferimento di una personalità giuridica a tutte le varie ipotesi di Proprietà collettiva oggi esistenti nel nostro Paese – ha osservato nel proprio commento il coordinamento nazionale delle migliaia di Enti gestori d’Italia – è uno dei più importanti risultati della Legge sui Domini collettivi oggi approvata. La Consulta nazionale della Proprietà Collettiva, che rappresenta da oltre dieci anni le istanze dei Domini collettivi, intende aprire da oggi un serio ed approfondito confronto con le Regioni per predisporre la normativa applicativa della Legge oggi approvata».
Lo storico riconoscimento è stato accolto con soddisfazione anche in Friuli e in provincia di Trieste, ove gli Assetti fondiari collettivi sono numerosissimi, nonostante manchi ancora (a causa dei pluridecennali ritardi accumulati dalla Regione e dal Commissariato agli usi civici) un “accertamento” ufficiale definitivo.
Quando nel luglio scorso, i rappresentanti del Coordinamento regionale della Proprietà collettiva sono stati invitati, a Roma, per esprimere il proprio parere sulle “Norme in materia di Domini collettivi”, dinanzi alla Commissione Agricoltura della Camera e al relatore della Legge Giuseppe Romanini, Martino Kraner, Delio Strazzaboschi e Luca Nazzi hanno dichiarato: «Grazie a questa Legge, che riconosce la “dimensione costituzionale” dei Domini collettivi, tutte le Comunità rurali e montane del nostro Paese potranno tornare protagoniste nella costruzione del Bene comune e le straordinarie potenzialità economiche, socio-politiche e ambientali dei nostri Domini collettivi potranno essere sviluppate al meglio… I Domini collettivi, riconosciuti e valorizzati adeguatamente, non consentiranno alle popolazioni rurali di ricavare dai propri patrimoni soltanto le utilità tradizionali (legna da ardere e da costruzione, piccoli frutti, erbe spontanee, funghi, prodotti ittici…), ma soprattutto garantiranno la possibilità di gestire attivamente i “valori patrimoniali collettivi” come elementi propulsivi di un’Economia solidale e autosostenibile e come basi materiali per una produzione economica finalizzata alla crescita della Comunità territoriale e della sua capacità di autogoverno».