Fuori Fuoco
Derive Approdi
2015
144
Un sociologo, un urbanista e uno storico rileggono quella straordinaria figura di imprenditore «illuminato» che è stato Adriano Olivetti e la politica che ha praticato. Per «Olivetti politico» si intende innanzitutto il rapporto che ha saputo costruire con il territorio, il suo modo di fare impresa con un fordismo dolce, il contrario di quello hard allora imperante e impersonificato in primo luogo da Valletta alla Fiat. Cosa significa oggi, attualizzando il pensiero e l’agire di Adriano Olivetti, proporre il paradigma del «ritorno al territorio», il tema della «comunità concreta» a fronte della scomposizione del lavoro, e più in generale dei radicali mutamenti del paradigma produttivo? Rivisitando il pensiero di Adriano Olivetti, «comunità concreta» per Aldo Bonomi significa oggi frapporsi tra flussi e luoghi, fare comunità ai tempi della simultaneità. Per Alberto Magnaghi significa ripartire dalla terra che si fa territorio con la radicalità della rete dei territorialisti che disegnano e progettano bioregioni. Per Marco Revelli significa ripensare i percorsi della fabbrica olivettiana, disegnando comunità del margine che ripartono dal «mondo dei vinti» e dei «nuovi vinti». Gli autori disegnano percorsi ai margini di quel centro del potere della politica che tanti vorrebbero cambiare. Il lettore di questi testi vi troverà tracce di un percorso che indica speranza e futuro partendo dalle tante vitalità del margine che tracciano le nuove comunità in gestazione, e quindi la società che viene.
Un Assaggio…
Adriano Olivetti attualissimo inattuale. Una premessa storica di Marco Revelli [..] se un nucleo profondo è possibile trovare, all’incrocio dell’Olivetti industriale e dell’Olivetti politico (o pensatore politico), questo mi pare consista in una costante, fondante ricerca dell’Armonia come valore. In una visione combinatoria e non dicotomica che lo portava al tentativo di conciliare – o di ricombinare tra loro: di ri-articolare – tutti gli opposti: Produzione e Cultura, certo. Arte e Industria. Ma anche – e soprattutto – Lavoro e Vita (di «ibridarli», come dice De Masi, rompendo il diaframma che li separa). E poi Fabbrica e Territorio. Lavoro e Ambiente. Comunità e razionalizzazione, come recita il titolo di un celebre libro di Alessandro Pizzorno, concepito appunto tra quelle mura. «Integrarli», parola chiave nel lessico olivettiano, che lo porterà a definire appunto il proprio modello politico-istituzionale come «Democrazia integrata» («forma nuova di rappresentanza più forte, più efficiente, della democrazia ordinaria, ma altrettanto rispettosa dell’eterno principio dell’uguaglianza fondamentale degli uomini e della libertà di ognuno»), contrapposta alla «democrazia autoritaria» e a quella «progressiva» rispettivamente dei partiti cattolici e di quelli comunisti (le distinzione è sua). E che guiderà la sua azione, non solo come Capo d’Industria, ma anche come direttore del piano regolatore della Valle d’Aosta, come presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, come sindaco della sua città-laboratorio, integrando appunto, l’apparato produttivo di fabbrica con il contesto territoriale, il luogo della produzione con i luoghi della riproduzione, all’insegna di un’idea di «responsabilità totale» che vedeva l’impresa responsabile – l’espressione è ancora di Gallino – nel quadro di una comunità territoriale responsabile. Quel modello, come sappiamo, non vinse. Prevalse – su tutta la linea, sul versante produttivo come su quello politico – l’altro paradigma, per così dire, quello delle antinomie. Delle antitesi. Della polarizzazione e del conflitto. Capitale versus Lavoro, nel quadro di un rapporto di fabbrica muscolare, focalizzato sulla pressione delle macchine sui corpi. Fabbrica versus Società, nel quadro di una sostanziale irresponsabilità sociale dell’Impresa nei confronti del Territorio circostante. Tecnica (tendenzialmente considerata autosufficiente) versus Cultura (trattata come disturbo, e nel migliore dei casi come ornamento o potenziale merce). Consenso versus Partecipazione. Rappresentanza versus Autonomia… Forse perché il capitalismo italiano era troppo debole per accettare quella sfida e insieme troppo forte per permetterne la diffusione. O più semplicemente perché i suoi animal spirits lo trascinavano in quella direzione – perché il destino del fordismo è quello… –, con i risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti. […]