Il tempo dei movimenti territoriali

Dove possiamo trovare forza e speranza per difenderci dalla ferocia del finanzcapitalismo? Dove può nascere una nuova cultura politica? Negli ultimi anni in diversi angoli del mondo i movimenti territoriali hanno imparato a contrapporre socialità e condivisione all’individualizzazione e alla frammentazione competitiva del mercato, a utilizzare strumenti di democrazia diretta, a trasformare i modi e gli obiettivi della protesta, a coltivare visioni del mondo nelle quali valori universali, come la tutela della persona e dei suoi bisogni, sono centrali e mettono in discussione i modelli retti dalle pretese di profitto di pochi. “I movimenti territoriali sono soggetti collettivi che esprimono e veicolano un modello alternativo di società rispetto a quello dominante – scrive Alessandra Algostino -, rappresentano in modo nuovo rispetto alle contrapposizioni dei partiti novecenteschi il conflitto sociale”

di Alessandra Algostino*

I movimenti sociali veicolano una conflittualità “nuova”, si situano lungo le faglie che in un contesto dinamico si aprono nel terreno del conflitto sociale; in questo senso, i movimenti costituiscono la cartina di tornasole delle trasformazioni e delle tensioni che attraversano la società, molto spesso sono la prima voce a rivendicare diritti in fieri, evidenziare contraddizioni, esprimere bisogni, ovvero sollevare un conflitto. Le fratture sociali assumono contorni inediti, nascono nuovi soggetti collettivi, si modificano gli strumenti di azione: i movimenti rivoluzionano i modi e gli obiettivi della protesta.

I movimenti che sorgono in difesa del territorio, come movimenti reattivi, o oppositivi, a fronte della decisione di costruire una grande opera, di scelte urbanistiche, di installazione di impianti per l’estrazione o la produzione di energia o di smaltimento dei rifiuti, rappresentano un nuovo genus di movimenti sociali, che conosce una notevole espansione e diffusione in questo inizio di secolo.

Il territorio è il motivo per il quale e nel quale nasce un movimento: è la ragione scatenante il movimento e, al contempo, lo spazio fisico nel quale il movimento si organizza. Ciò non implica, peraltro, né la qualificazione delle mobilitazioni come Nimby (Not In My Back Yard), attraverso la quale si intende malevolmente che i partecipanti siano «mossi dal cieco egoismo di chi non vuole un certo impianto a casa propria, ma non muoverebbe un dito se esso fosse proposto a casa d’altri» (Luigi Bobbio), né la loro configurazione come esclusivamente locali.

Nelle proteste si manifesta un nuovo modo di intendere il territorio, che scardina forme, decisioni e orizzonti del potere politico ed economico dominante. Da un lato, il luogo viene ad essere sede di relazioni, un’opportunità per ricostituire legami sociali: ovvero, il contrario di un «nonluogo» (Marc Augé). Si recupera in tal modo una dimensione collettiva e il territorio diviene spazio di vita della comunità, in opposizione al dilagare della visione di una libertà ed autonomia del singolo ripiegata sull’auto-imprenditorialità, nella prospettiva di una ricerca individuale del successo nello scenario del mercato globale. Dall’altro lato, la difesa del territorio, dell’ambiente, inducono ragionamenti intorno allo sviluppo sostenibile, ai beni comuni, alla decrescita, all’articolazione del sistema economico, alla distribuzione delle risorse, agli stili di vita: il modo di intendere il territorio diviene parte di una visione del mondo, altra rispetto a quella riconducibile ai sostenitori della scelta oggetto di contestazione. La singola issue locale diviene occasione per lanciare lo sguardo oltre l’orizzonte; in questo senso l’identità dei movimenti territoriali pare caratterizzarsi per una dinamica “espansiva”, una progressiva generalizzazione.

Non solo: la riappropriazione del territorio e il suo mutamento di significato si accompagnano alla sperimentazione, e all’immaginazione, di nuovi modi di intendere la democrazia. Nella gestione del movimento si utilizzano per lo più strumenti riconducibili alla democrazia diretta, con decisioni assunte attraverso discussioni assembleari, che privilegiano la ricerca dell’unità rispetto a votazioni nette, in aderenza ad una concezione orizzontale, e non formalizzata e burocratizzata, dei rapporti politici. Quando il movimento sia articolato sul territorio vengono create strutture di coordinamento dei comitati, le quali, a loro volta, si inseriscono in reti più ampie che collegano movimenti analoghi sorti in altri territori, a livello nazionale e oltre. Non di rado, poi, i movimenti, nel loro sviluppo, creano sinergie con la democrazia rappresentativa a livello locale, sostenendo liste civiche, dando vita ad una rappresentanza che mantiene un rapporto permanente e continuo con i movimenti, con una legittimazione reciproca, bi-direzionale.

Il luogo diventa lo spazio fisico nel quale sperimentare forme nuove di organizzazione sociale e partecipazione, contrapponendo un territorio sentito come proprio, dove si vive la democrazia e si ragiona di nuovi modelli di rapporti sociali ed economici, a non-luoghi, da dove “calano” decisioni percepite come eteronome. Non è egoistica difesa del territorio locale, ma una sua re-interpretazione che, in un certo qual modo, lo trascende, con la presa di coscienza che l’espropriazione del proprio territorio è parte di un processo globale di predazione neoliberista.

La pluralità che caratterizza i movimenti territoriali trova una sintesi non solo nell’opposizione rispetto ad una specifica decisione politica ma anche in una visione del mondo, che, senza precludere le rispettive peculiarità, condivide l’essere altro rispetto al modello egemone, nel nome di valori condivisi unificanti, se pur differentemente declinati.

L’eventuale mancanza di considerazione da parte delle istituzioni e, come spesso accade, una risposta in termini di repressione (creazione di stati di eccezione, assoggettamento dell’area interessata dai progetti a controlli di polizia, sino alla militarizzazione del territorio, ricorso sproporzionato allo strumento penale e alle misure cautelari, campagna stampa denigratoria), possono poi contribuire a incrementare il senso di identità e unità dei partecipanti ai movimenti.

Il conflitto sul territorio e per il territorio, dunque, può essere letto come nuova rappresentazione del conflitto sociale, dello scontro fra visioni del mondo: il territorio mercificato e oggetto di predazione nel contesto di una razionalità di governo neoliberale versus il territorio come spazio di una nuova socialità che rivendica la centralità della persona e dei suoi bisogni.

Fonte: Comune-info

* Professoressa associata in Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino
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