Le Nazioni Unite annunciano una nuova crisi globale del sistema agroalimentare industriale a causa degli elevati e ingiustificati aumenti dei prezzi. Nell’ultimo mese il grano è aumentato addirittura del 35%. Eppure non è certo la guerra di Putin la causa principale: l’Ucraina esporta circa il 3% del totale della produzione mondiale di grano e meno ancora del mais e la Russia il 4,5% del primo e lo 0,5% del secondo. Le ragioni sono ancora una volta legate alle strategie aziendali del business speculativo che punta al maggior profitto possibile e non alla sicurezza alimentare, nel quadro di politiche nazionali e internazionali che facilitano e permettono tali soprusi. Le imprese che controllano il mercato approfittano della situazione per ogni arbitrio sui prezzi e per imporre misure che hanno ulteriori impatti negativi anche sul clima e la salute, come l’incremento dei terreni per grandi estensioni di colture industriali. Il lobbismo delle multinazionali che producono foraggi per la zootecnia industriale è riuscito inoltre a ottenere che Spagna e Portogallo consentano l’importazione di colture transgeniche (finora vietata in Europa) dall’Argentina a partire dal 24
I prezzi dei prodotti alimentari sono in rapido aumento, apparentemente a causa della guerra di Russia e Ucraina. Il grave impatto che questo ha su molte popolazioni mette in evidenza la vulnerabilità globale in cui ci colloca il sistema agroalimentare industriale dominato da imprese multinazionali.
Secondo fonti delle Nazioni Unite, siamo sull’orlo di una nuova crisi globale a causa degli alti prezzi del cibo e delle carestie, come effetto domino dell’aumento dei prezzi del carburante, delle restrizioni alle esportazioni di fertilizzanti sintetici di cui la Russia è uno dei principali produttori, nonché di grano, mais e olio di girasole dalla Russia e dall’Ucraina. Insieme, i due paesi rappresentano il 28% delle esportazioni mondiali di grano.
Paradossalmente, il principale importatore mondiale di grano è l’Egitto, situato nel territorio in cui ha avuto origine questa coltivazione e a cui appartiene anche la Turchia, un altro dei maggiori importatori. L’Egitto importa più del 60% del grano che consuma, e per l’80% si tratta di importazioni dalla Russia e dall’Ucraina, ora sospese a causa della guerra. Il Messico, il centro di origine del mais, è il principale importatore globale di mais, fondamentalmente a causa della domanda da parte delle grandi industrie zootecniche, per lo più transnazionali.
Non si tratta di una mancanza delle condizioni per una produzione che soddisfi le esigenze del consumo umano, ma di strategie aziendali il cui obiettivo è il profitto, non la sicurezza alimentare, nel quadro di politiche nazionali e internazionali che facilitano e permettono tali soprusi (vedi: “¿Quién gana con las importaciones de maíz?”).
Sebbene le percentuali di importazione in alcuni paesi siano elevate (come quelle citate sopra, e altre in Medio Oriente, in Africa (nel Nord, nell’area sub-sahariana e nel Corno d’Africa) e in alcuni paesi asiatici, che rendono questi paesi molto vulnerabili) le esportazioni sono in realtà una percentuale minore della produzione globale di grano e mais. Una percentuale che va dal 75% al 90% della produzione globale di grano, mais e riso, i principali cereali di base dell’alimentazione mondiale, è realizzata a livello nazionale. Sul totale della produzione mondiale, ciò che l’Ucraina esporta di grano è circa il 3%, e meno ancora per quanto riguarda il mais. Nel caso delle esportazioni russe, si tratta del 4,5% per il grano e dello 0,5% per il mais (vedi: “Preliminary Statement of the CSM Advisory Group on the War in Ukraine and its implications for world food security”).
Tuttavia, e nonostante il fatto che non ci sia scarsità, perché si stanno ancora commercializzando i raccolti della stagione passata, nell’ultimo mese il grano è aumentato del 35% a causa della speculazione dovuta a presunte incertezze. Pertanto, il volume delle esportazioni non spiega di per sé l’aumento vertiginoso dei prezzi dei prodotti alimentari. Lo spiega invece la convergenza di alcuni fattori, fra cui fondamentalmente la speculazione (occultata dalle guerre) delle multinazionali del settore agroalimentare, da quelle degli input agricoli (sementi, agrotossici e fertilizzanti), a quelle della distribuzione, del commercio di cereali, della trasformazione e della vendita al dettaglio.
Queste imprese approfittano della situazione per aumentare i prezzi arbitrariamente e procedere con misure che hanno ulteriori impatti negativi. Da un lato, stanno facendo pressione perché si dedichino più terreni a grandi estensioni di colture industriali, a scapito degli ecosistemi naturali, della pastorizia contadina e di altri usi non industriali, e perché si faccia un uso intensivo di terreni a maggese (lasciati a riposo per la rigenerazione dopo i raccolti). Gli Stati Uniti hanno allentato le restrizioni federali in materia, e alcuni paesi europei stanno prendendo in considerazione misure analoghe.
Per quei terreni, le multinazionali agroalimentari sostengono che dovrebbero essere utilizzate colture transgeniche con un elevato uso di agrotossici, e nel caso di un’eventuale mancanza di fertilizzanti sintetici, prevedono l’uso di microrganismi geneticamente modificati. Il lobbismo delle imprese che producono foraggi per la zootecnia industriale è riuscito ad ottenere che Spagna e Portogallo consentano l’importazione di colture transgeniche dall’Argentina a partire dal 24 marzo, cosa che fino ad ora era vietata in Europa.
In questi due paesi, come in Messico, le importazioni di mais e soia non sono per il consumo umano, ma soprattutto per il foraggio industriale destinato alla zootecnia su larga scala, che potrebbe essere attuata in modo decentralizzato e utilizzando altri mangimi. Ora, con la scusa della futura carenza dovuta alla guerra in Ucraina, aumenta la pressione affinché l’Europa si apra anche all’importazione di grano transgenico dall’Argentina.
Tutte le misure proposte dall’industria e prese in considerazione dagli Stati Uniti e dall’Europa implicano una grave marcia indietro per quanto riguarda i limiti all’utilizzo di pesticidi nelle colture e ai residui di agrotossici e transgenici negli alimenti.
Raj Patel, analista dell’industria alimentare e autore del libro I padroni del cibo (Feltrinelli 2008), sostiene che l’aumento dei prezzi alimentari attualmente in corso interesserà soprattutto le popolazioni del sud del mondo e gli emarginati del nord del mondo, a causa della convergenza degli impatti delle 4 C: Covid, conflitti, cambiamenti climatici e capitalismo (vedi l’intervista a Raj Patel in “Global South Faces Soaring Food Prices Amid War in Ukraine, World’s ‘Breadbasket’”.
Non è la guerra in Ucraina – terribile di per sé a causa delle morti e della devastazione che comporta – la causa principale della nascente crisi alimentare globale, ma la sua convergenza con il sistema alimentare agroindustriale e gli interessi delle multinazionali che lo controllano, causando caos climatico, obesità, pandemie e malattie delle persone e del pianeta. Ci sono alternative che richiedono un sostegno urgente, ora più che mai, basate sull’agroecologia contadina per la sovranità alimentare.
Fonte: “Guerra y alimentos”, in La Jornada, 26/03/2022.
Traduzione a cura di Camminardomandando.
Di Silvia Ribeiro
Fonte: Comune-Info