C’è quest’anno, in un luogo vicinissimo al FVG. un presepe tragico e violento di cui nessuno vuole parlare: è quello che coinvolge alcune migliaia di profughi disperati, privi di alcun ricovero ed esposti al freddo dell’inverno, che si trovano nell’area di Bihac (Bosnia). Il provvisorio campo di Lipa, posto su un altopiano isolato e disabitato a 30 km da Bihac era stato allestito a fine estate come struttura provvisoria per 1500 persone (ed era arrivato ad averne oltre 2000); il campo non ha allacci alla rete fognaria, nè corrente elettrica nè riscaldamento. Dopo settimane di inutili insistenze e pressioni sulle autorità bosniache ed europee affinché le persone vengano evacuate da una situazione priva delle condizioni minime per la sopravvivenza, due giorni prima di Natale, IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) che gestisce i campi per i rifugiati in Bosnia con fondi dell’Unione Europa ha deciso di chiudere e di andarsene abbandonando nel nulla quasi 2000 persone. Il governo di Sarajevo ha chiesto di riaprire almeno una degradata ex fabbrica vicino alla città di Bihac già usata per una provvisoria ma il governo del cantone vi si oppone.
Così senza nemmeno una capanna e asini e buoi per riscaldarsi a poche centinaia di chilometri dal nostro confine ora dopo ora si fa concreto il rischio di morte per stenti e assideramento di un numero imprecisabile ma enorme di giovani afghani, iracheni, pachistani, siriani, ma anche africani già bloccati, da anni, sulla Rotta balcanica. Al momento della pubblicazione di questa nota (27 dicembre 2020) nessuna soluzione, neppure emergenziale, è stata trovata mentre si sta consumando una catastrofe umanitaria senza precedenti ma del tutto ignota in Italia.
Per anni l’Unione Europea anziché organizzare programmi di reinserimento dei rifugiati ha finanziato (come già fa in Libia in Turchia e in Grecia) le diverse istituzioni bosniache per bloccare i migranti e confinarli in condizioni disumane dentro luoghi inabitabili, mentre ha elargito ingenti somme alla Croazia affinché respinga con ogni mezzo, anche tramite violenze efferate, chi cerca di fuggire e giungere in Europa, come denunciato da Amnesty International e da molti enti internazionali. Ora persino questa forma di confinamento dei migranti viene meno lasciando il posto semplicemente alla morte per abbandono.
Mentre in Italia siamo impegnati in dotte dissertazioni sull’esegesi dei vari decreti e “soffriamo per la ristrettezza” di pranzi e cenoni, ai pochi migranti che, in condizioni sempre più disperate, riescono ad arrivare al confine italiano, viene impedito di chiedere asilo, in aperta violazione delle leggi della nostra Repubblica e di quelle dell’Unione Europea. Si chiamano, con un termine dolce ed ingannevole, riammissioni e vengono presentate come legali, ma di legale non c’è nulla. Attraverso un abile meccanismo a catena tra Italia, Slovenia e Croazia, le persone vengono rigettate in Bosnia dove si ritrovano di nuovo in condizioni inumani e degradanti.
Di questo dramma che si consuma a 300 km da Trieste quasi nessuno ne parla, nè autorità civili nè religiose, nè intellettuali nè politici: a lanciare l’allarme ci ha provato il quotidiano cattolico Avvenire, che per ben tre domeniche nel mese di dicembre ne ha trattato anche in prima pagina; tuttavia pare che nulla sia sufficiente per smuovere la pesante cappa di silenzio che ci avvolge, soprattutto in FVG.
Riprendendo le parole del giornalista Nello Scavo su Avvenire del 5/12, la Rete DASI chiede verità riguardo la “via della vergogna, sulla rotta balcanica, dove le violenze delle polizie lasciano segni permanenti, e anche l’Italia respinge chi avrebbe diritto alla protezione”
Nei prossimi giorni la Rete DASI organizzerà iniziative (raccolta fondi e materiali) per portare aiuto ai migranti abbandonati a sè stessi in Bosnia chiedendo ai cittadini del FVG di dimostrare che essi non vogliono essere complici delle attuali politiche di morte.
Comunicato Stampa Rete DASI FVG