Decolonizzare l’immaginario. Il pensiero creativo contro l’economia dell’assurdo

Decolonizzare l'immaginario. Il pensiero creativo contro l'economia dell'assurdo Book Cover Decolonizzare l'immaginario. Il pensiero creativo contro l'economia dell'assurdo
Serge Latouche
Mondadori
2014
206

Di fronte alla mondializzazione, che altro non è che il trionfo dell’onnipotenza del mercato, abbiamo bisogno di concepire e di volere una società in cui i valori economici cessano di essere cen trali (o unici), in cui l’economia viene rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo. Abbiamo bisogno di rinunciare a questa folle corsa verso un consumo sempre maggiore. Questo non è necessario soltanto per evitare la distruzione definitiva dell’ambiente terrestre, ma anche e soprattutto per uscire dalla miseria psichica e morale degli esseri umani contemporanei. Dobbiamo arrivare a una vera e propria decolonizzazione dell’immaginario e a una de-economizzazione degli spiriti, necessa rie per cambiare il mondo prima che il cambiamento del mondo ci condanni a vivere nel dolore. Bisogna cominciare a vedere le cose diversamente perché possano diventare diverse, perché si possano concepire soluzioni veramente originali e innovatrici. Si tr atta di mettere al centro della vita umana significati diversi dall’espansione della produzione e delconsumo. La minaccia più grave che pesa sul nostro pianeta probabilmente non è quella della distruzione provocata dal delirio della Megamacchina, ma il nostro accecamento e la nostra impotenza. Come i romani della fine della Repubblica, “non possiamo più sopportare né i nostri vizi né i loro rimedi” (Tito Livio). Ci rifiutiamo di fare la vera diagnosi della malattia e ci accontentiamo di mascherarne i sintomi. E cerchiamo dei rimedi nell’aggravamento del male stesso. Proporre, contro lo sviluppo, uno sviluppo durevole, locale, sociale o alternativo, significa in fin dei conti cercare di prolungare il più possibile l’agonia del paziente nutrendo il virus che lo sta uccidendo. E’ necessaria una vera e propria cura di disintossicazione collettiva. La crescita infatti è al tempo stesso un virus perverso e una droga. Come scrive Majid Rahnema, “per infiltrarsi negli spazi vernacolari, il primo Homo oeconomicus ha adottato due metodi ben noti, ispirati da una parte all’azione delretrovirus Hiv e dall’altra ai mezzi impiega ti dai trafficanti di droga”. Ovverosia, la distruzione delle difese immunitarie e la creazione di nuovi bisogni. Chiedere ai nostri contemporanei di rinunciare alla tecnica, nel senso del “sistema tecnicistico” (e, aggiungiamo noi, allo sviluppo) sarebbe, secondo Jacques Ellul, come chiedere all’uomo del neolitico di bruciare la foresta che è il suo ambiente naturale(1). E’ chiaro che non rinunceremo volentieri né allo sviluppo, né al nostro modo di vita, né alle tecniche che gli sono associate. E non è detto neppure che rinunceremo a bruciare le ultime foreste e gli ultimi uomini del neolitico che ancora ci vivono. Allora non c’è né speranza né prospettiva per l’umanità? Le lezioni della storia non sono certo tali da rendere ottimisti, e la vittoria del buon senso sul delirio del sistema tecnoeconomico, della convivialità sull’egoismo dei possidenti e la volontà di potenza dei dominanti sarebbe tutt’altro che certa se ci si dovesse affidare soltanto alla forza di persuasione della ragione. Tuttavia, l’aberrazione di una razionalità mossa dalla ricerca senza limiti del profitto produce catastrofi che, sebbene dolorose, creano occasioni per la messa in discussione dello stato di cose esistente. Chernobyl ieri, la mucca pazza oggi, l’effetto serra domani, per non parlare degli innumerevoli rischi tecnologici quotidiani, sono potenti spinte alla riflessione. La pedagogia delle catastrofi stimola il necessario cambiamento dell’immaginario, una delle condizioni necessari e perché le alternative possano farsi luce e trionfare. Gli indiani della Columbia britannica, sulla costa occidentale del Pacifico, credevano che i salmoni vivessero come loro in tribù e che abitassero in una grande capanna in fondo al mare. Secondo il mito, i salmoni assumevano forma umana nel periodo in cui vivevano nella capanna, ma una volta all’anno si trasformavano in pesci, indossavano il costume di salmone e nuotavano fino alla foce dei fiumi, dove si sacrificavano volontariamente affinché i loro fratelli avessero cibo per l’inverno. Nella stagione della risalita dei fiumi, gli indiani accoglievano il primo salmone come un ospite di rango, e poi lo mangiavano ritualmente. Il suo sacrificio era soltanto un prestito temporaneo. La lisca e i resti venivano restituiti al mare, cosa che permetteva la rinascita dell’ospite. In questo modo la coesistenza e la simbiosi tra i salmoni e gli uomini si perpetuava. Con l’arrivo dei bianchi e la creazione sulla foce di ogni fiume di una fabbrica di conserve, la corsa al profitto ha portato a un prelievo abusivo. Gli indiani si sono convinti che i salmonisono scomparsi perché i bianchi non hannorispettato il rituale.... Chi potrebbe dargli torto? (2) Questo obbligo per l’uomo di fondersi nel cosmo si ritrova nella maggior parte delle società. In Siberia si va a morire nella foresta per restituire agli animali quello che si è ricevuto. Questo atteggiamento sottende rapporti di reciprocità tra gli uomini e il resto dell’universo. Gli uomini sono pronti a darsi a Gaia come Gaia si dà a loro. Negando la capacità di rigenerazione della natura, riducendo le risorse naturali a materie prime da sfruttare e non considerandole invece come “fonti di vita”, la modernità ha eliminato il rapporto di reciprocità tra l’uomo e la natura. Non è detto che i popoli oppressi, strangolati, umiliati del pianeta aspirino necessariamente ad avere quello che promettono i miracoli e i miraggi dello sviluppo, presentati nei loro diversi imballaggi: Probabilmente aspira no innanzitutto a sopravvivere. Ma non vogliono una sopravvivenza puramente biologica, misurata in calorie, vogliono una sopravvivenza culturale, in cui il calore umano è un fattore essenziale. Aspirano, se possibile, a vivere “bene”. Bene e non necessariamente di più o meglio. Cioè vivere nella dignità, secondo i propri valori, le proprie regole e le proprie scelte culturali, senza essere intrappolati e stritolati dalla e nella corsa all’aumenti del Pil. In fin dei conti non è la stessa aspirazione profonda della gente comune del Nord? E’ l’aspirazione che spinge a realizzare la decrescita conviviale e il localismo.
(1)
Jaques Ellul,
Le Système technicien,
Calmann-Lévy, Paris 1977
(2)
Lewis Hyde,Il dono,
Bollati Boringhieri, Torino 2005

Indice

 La “società della decrescita” presuppone, come primo passo, la drastica diminuzione degli effettinegativi della crescita e, come secondo passo, l’attivazione dei circoli virtuosi legati alla decrescita: ridurre il saccheggio della biosfera non può che condurci ad un miglior modo di vivere. Questo processo comporta otto obiettivi interdipendenti, le 8 R: rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena, conviviale e pacifica. La “società della decrescita” presuppone, come primo passo , la drastica diminuzione degli effetti negativi della crescita e, come secondo passo, l’attivazione dei circoli virtuosi legati alla decrescita: ridurre il saccheggio della biosfera non può che condurci ad un miglior modo di vivere. Questo processo comporta otto obiettivi interdipendenti, le 8 R: rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena, conviviale e pacifica.

Link utili

Feltrinelli  Vedi…
Il Fatto Quotidiano

Serge Latouche e il suo invito a decolonizzare l’immaginario … (di G.Ferrara)… Vedi…


L’autore

Serge Latouche è professore emerito di Scienze economiche all’Università di Paris-Sud. Specialista dei rapporti economici e culturali Nord-Sud e dell’epistemologia delle scienze sociali. Studioso molto noto nell’ambito dell’antropologia economica, è tra gli animatori de “La Revue du Mauss” ed è autore di numerose opere, le principa li delle quali sono:
L’occidentalizzazione del mondo 92,
Il pianeta dei naufraghi 93,
La Megamacchina 95,
L’altra Africa 2000, La sfida diMinerva 2000,
Giustizia senza limiti 03,
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